Quando parliamo di nutrizione, è facile cadere vittime di fraintendimenti. Le interpretazioni scorrette delle ricerche pubblicate, purtroppo, abbondano. È ancora più facile sbagliare, quando i ricercatori sono i primi a lasciarsi andare a considerazioni personali. Osservazioni che sono incoerenti rispetto a quanto emerso dalle loro stesse analisi.
Un ricercatore che si pone l’obiettivo di indagare un determinato effetto, sarà a sua volta influenzato nell’osservazione dei dati finali raccolti. Lo studioso infatti, tenderà a trovare dei riscontri che possano coincidere con le conclusioni da lui desiderate.
In questo modo però, l’esito di un tale lavoro, sarà completamente inficiato da questo presupposto, nonostante il testo si appoggi a dati concreti. Il lettore potrà mostrarsi perlomeno scettico, di fronte a questa possibilità.
Un altro aspetto che dobbiamo tenere a mente è che spesso ci confrontiamo con ricerche analitiche, cioè analisi di singoli sistemi e reazioni, per applicare un ragionamento sui complessi meccanismi che regolano il nostro corpo.
Questo porta spesso e volentieri a sbagliare e ad alimentare alcuni pregiudizi e falsi miti.
Nel corso degli anni ci sono stati diversi esempi che dimostrano come la complessità del corpo umano vada ben oltre alcune conclusioni semplicistiche. Un esempio è il beta-carotene. È stato scoperto già diverse decadi fa che il Beta-carotene ricopre anche funzioni anti-tumorali preventive. Di conseguenza, la supplementazione di Beta-carotene è stato più volte impiegato proprio per ridurre l’incidenza di determinate forme tumorali.
Che cosa è accaduto in seguito a questa scoperta? Che una supplementazione incontrollata di Beta-carotene, al contrario, aumentava la mortalità nei soggetti che ne facevano uso mediante un’integrazione esterna. Il risultato è stato quindi un’aumentata incidenza di tumore al polmone e allo stomaco per dosaggi di beta carotene dai 20 ai 30 mg al giorno (Druesne-Pecollo et al. 2010).
A dimostrazione che l’unica certezza che si possiede è la sicurezza di aver sbagliato!
Se una molecola esercita effetti positivi in dosaggi corretti, non è detto che tali benefici esistano con dosaggi più alti. Personalizzereste mai il dosaggio di un farmaco solo perché ad una data posologia corrisponde un effetto positivo? Probabilmente no, perché sappiamo quale rischio per la salute stiamo correndo. Eppure con l’alimentazione questo genere di allarme non ce l’abbiamo.
Discorso similare ha coinvolto la fibra alimentare. Alimenti ricchi di questo elemento si sono dimostrati utili ed efficaci nella prevenzione di diverse patologie. Data questa premessa, è stato pensato fosse utile arricchire molti prodotti raffinati (privi di fibra) con la fibra alimentare. Purtroppo, queste soluzioni modificate, non hanno poi mostrato gli stessi effetti protettivi rispetto agli alimenti che la contengono naturalmente.
Le ragioni dietro questo esito?
Probabilmente sono attribuibili all’esistenza di sostanze non ancora identificate, responsabili però del fenomeno protettivo, oggi riscontrato nella fibra alimentare. La ricerca però continua e presto si comprenderanno meglio alcuni meccanismi ancora poco chiari.
L’interpretabilità delle ricerche è la causa principale che spinge sempre più esperti (purtroppo laureati) ad abbracciare teorie tutt’altro che scientifiche.
Dalla dieta del gruppo sanguigno alla dieta detox fino alla dieta alcalinizzante.
Purtroppo, tutte quelle teorie che si basano su presunte conoscenze fisiologiche, che in realtà non sono altro che fraintendimenti, a loro volta contribuiscono a generare “storture” tutt’altro che provate scientificamente.
Facciamo un esempio per essere chiari.
Immaginiamo di leggere diverse ricerche che si occupano del metabolismo di una cellula tumorale. Dall’analisi, emergerebbe che essa si nutre principalmente di zucchero, ha un metabolismo glicolitico e genera intorno a sé un grande quantitativo di acido lattico oltre che una forte tendenza neoangiogenica.
Questa frase, tratta da diverse ricerche cliniche, ha fatto cadere in errore anche gli addetti ai lavori che non si occupano di ricerca, ma traggono conclusioni affrettate.
Il fatto che una cellula oncogena orienti il metabolismo sulla via glicolitica non significa infatti che i carboidrati siano cancerogeni! I nessi di relazione o di causa-effetto che spesso vengono diffusi, sono falsi e dettati da un processo logico che non contiene per forza la verità.
Inoltre, ricordiamo che soggetti malati hanno alterazioni fisiologiche che non sono quelle riscontrate in persone sane.
Ancora una precisazione: eseguire esperimenti sugli animali, non è la stessa cosa che verificare determinati effetti sugli esseri umani.
E ancora: rilevare dati attraverso esperimenti in vitro è cosa ben diversa che verificarli in vivo. Infatti, si potrebbero ottenere dati diametralmente opposti.
Una cosa similare si è verificata sul latte e in particolar modo sulla caseina. Affermare che la caseina sia cancerogena è falso e fuorviante ed è come affermare che gli asini volino. Non esistono infatti studi che affermino questo. Se inserissimo in una provetta con una cellula tumorale della caseina, probabilmente, la cellula tumorale crescerebbe perché trarrebbe nutrimento da QUALSIASI sostanza per crescere.
Questo significa che la caseina è cancerogena? No. Scatenare l’inizio della proliferazione incontrollata e nutrire una cellula in condizioni già patologiche è ben altra questione. Così come lo è analizzare una singola molecola in quanto causa della crescita di una cellula tumorale non inserita nel complesso sistema del corpo umano (differenza tra in vitro e in vivo).
Siamo tutti cresciuti con il timore che il colesterolo elevato possa mettere a repentaglio la salute cardiovascolare. Questo è vero, ma bisogna tenere presente altri fattori di rischio: trigliceridi elevati, HDL sotto i livelli di norma e LDL elevate.
Se un paziente possiede un colesterolo totale lievemente fuori scala (ipotizziamo 210 mg/dl), le HDL nei valori di normalità, le LDL nei limiti di norma e i trigliceridi sotto i livelli di allarme, non ci sarà da allarmarsi.
In ogni caso, è sempre meglio far visionare le analisi al proprio medico curante prima di trarre conclusioni lette online.
Gli innumerevoli messaggi pubblicitari sul colesterolo ci hanno fatto credere che il colesterolo sia un nemico da abbattere, ma dal punto di vista fisiologico è fondamentale per la vita umana.
Il colesterolo è infatti un precursore ormonale ed è una fonte energetica per le cellule, oltre che essere un costituente delle membrane cellulari.
Eppure siamo talmente abituati a prendere le informazioni decontestualizzate da non porci nemmeno più il dubbio che ci sia altro da conoscere oltre il solo valore del colesterolo totale.
Questo articolo vuole semplicemente innescare domande e dubbi e l’obiettivo finale è proprio quello di accendere un po’ lo spirito critico.
Siamo troppo abituati al bombardamento di informazioni per avere la voglia di verificare le informazioni scritte.
L’idea è quella di prendersi del tempo per confermare o smentire ciò che conosciamo: non in base a ciò che presumiamo di sapere, ma in base a ciò che realmente sappiamo su un argomento specifico.
Conoscere la funzione di una singola sostanza all’interno di un determinato alimento, non basta per sapere come agisce quell’alimento specifico.
Presi dai nostri studi di biochimica e intenti a studiare ogni azione di una singola molecola nel nostro metabolismo, non riusciamo più a comprendere il vero ruolo di un dato alimento. Integriamo ciò che è scritto alle tante o poche informazioni in nostro possesso con il rischio però di raggiungere conclusioni affrettate e poco realistiche.
Se studiassimo la trimetilammina e le sue funzioni, scopriremmo che essa ha proprietà aterosclerotiche, cioè compromette l’integrità dei vasi sanguigni. Dove si trova però la trimetilammina?
Questa sostanza è la stessa che conferisce al pesce il suo tipico odore. La carnitina, assunta dagli alimenti o grazie ad alcuni integratori alimentari, porta alla formazione di trimetilammina. Ma come ben sappiamo il pesce, al contrario, ha una proprietà vasculo-protettiva data dalla presenza di omega-3.
Restringendo però il campo di studio solo alla funzione della trimetilammina, limitandola all’area in cui è contenuta, ci verrebbe da escludere il pesce dalla nostra alimentazione per gli effetti negativi sul sistema cardiovascolare.
Commetteremmo così un errore madornale!
L’effetto del grasso del pesce è molto più forte rispetto all’effetto della sostanza appena citata.
Questo è il classico esempio di nutrizionismo: studiare singole sostanze per comprendere l’effetto degli alimenti.
Gli alimenti non sono però la semplice somma di sostanze e la loro combinazione ha un effetto maggiore rispetto all’assunzione delle singole molecole costituenti. L’ambiente chimico e la proporzione dei nutrienti contenuti in essi, permette di assolvere le molteplici funzioni possedute da un alimento.