La crisi economica può non esser vista solo come un momento di estrema difficoltà, perché può portare anche con sé la voglia di rimettersi in gioco: chi perde il posto di lavoro, chi si sente frustrato per la propria condizione, può decidere finalmente di tentare la strada dei propri sogni, anche a costo di un minor guadagno.
È proprio così che migliaia di persone scelgono di sperimentare nuovi settori e investono nell’istruzione in nuovi ambiti, alla ricerca di un tipo di serenità che è innanzitutto mentale, in quanto maturata dalla passione.
Al giorno d’oggi si ha a disposizione un’ampia scelta: le università formano futuri dottori, così come le aziende private, promotrici di nuove figure professionali certificate da attestati di frequenza, diplomi. Carte, documenti, che hanno come principale obiettivo quello di rassicurare sulle proprie competenze.
In mezzo a questo oceano di possibilità, i laureati si scontrano contro chi non ha svolto un percorso di studi strutturato: si instaura presto un clima di competizione, una gara a chi possiede il titolo più prestigioso o a chi ha collezionato il numero maggiore di corsi formativi. La realtà, poi, spesso si rivela molto meno confortante: infatti, la maggioranza dei lettori seriali, che accumulano cioè letture specialistiche per dar l’impressione di esser preparati per gli esami, non ricorda neppure il nome della materia preparata a distanza di breve tempo.
Ultimamente poi, stiamo assistendo ad un altro fenomeno eclatante: i laureati che criticano altri laureati.
In che cosa consiste questa guerra civile? Nel laureato che ti dice:
Hai fatto scienze motorie?
Mica sei un fisioterapista! Loro si che studiano molto per laurearsi.
Da questo atteggiamento nasce la frustrazione dei laureati in scienze motorie che, in segno di difesa, giudicano i fisioterapisti come professionisti troppo aderenti ai protocolli. Ciò che ne deriva è la costruzione di un circolo vizioso basato su pregiudizi e luoghi comuni sui diversi ambiti disciplinari.
A questo punto ci si potrà chiedere chi sia realmente un “abusivo”.
L’abusivo è colui che esercita un’attività senza averne il diritto o il titolo, o la regolare licenza (custode, tassista ecc.) o che fruisce di un servizio senza averne diritto.
E poi ci sono le situazioni “particolari”, non abusive e normate che meritano di alcune delucidazioni…
Chi è forte del fatto di appartenere ad una categoria professionale che autorizza a strutturare diete, ma in realtà possiede un titolo di studio in “Tutela dell’ambiente” (per questa ragione esiste un codice deontologico che sottolinea come determinati incarichi vanno ricoperti solamente se in possesso di determinate competenze).
Chi si affretta dopo una magistrale in zoologia a svolgere rapidamente un esame di stato (senza opportuno tirocinio e pratica in uno studio dietologico) solo per poter scrivere biologo nutrizionista sul curriculum (Si, questo la legge lo permette, ma come detto poc’anzi è consigliabile leggere interamente il codice deontologico dell’Ordine).
… E le situazioni abusive quali sono?
Chi non ha alcun titolo, eppure dispensa consigli nutrizionali (anche il consiglio alimentare deve essere dispensato da chi ha l’abilitazione alla professione).
Chi crede di conoscere ogni aspetto della nutrizione o dell’allenamento perché ha letto il blog online e il giornalino dell’edicola (nel caso dell’allenamento chiunque può dispensare consigli in quanto la professione del personal trainer non è ancora inquadrata da una specifica normativa).
E la lista potrebbe non interrompersi qui.
Come? Ad esempio, offrendo un servizio di personal training a soli venti euro l’ora o, peggio ancora, elargendo gratuitamente delle prestazioni professionali.
Ma ancora più del titolo di studio, dovrebbe contare quanto realmente si padroneggia la materia, il livello di impegno impiegato per costruire solide competenze nel proprio settore di riferimento (ed ecco perché chi ha una buona conoscenza della biologia può svolgere una serie di mansioni dopo opportuna abilitazione professionale che attesti la conoscenza di determinate materie).
A ciò si aggiunga il fatto che le università ormai danno solo una preparazione nozionistica che non forma cioè un professionista completo, esattamente come succede durante i corsi proposti dai privati con tanto di attestato finale.
Ecco cosa non ti dà una laurea: innanzitutto lo sviluppo dello spirito critico e l’intelligenza imprenditoriale.
Mi faccio promotore di un principio poco popolare: c’è chi è bravo a svolgere un certo mestiere e chi non lo è.
C’è chi merita di guadagnare tanto e chi non lo merita.
C’è chi decide di guadagnare meno pur di fare ciò che ha sempre amato e di farlo al meglio.
C’è chi non smette mai di imparare, nonostante i titoli di studio ottenuti, e chi invece crede di esser completo dopo aver ottenuto una pergamena da appendere in ufficio.
Voglio rivolgermi proprio a quest’ultima categoria in particolare: tralasciando per un attimo la facilità con cui si acquisisce tale titolo di dottore (e mi inserisco nel discorso in quanto laureato anche in scienze motorie), ci sarebbe bisogno di un momento di autocritica e umiltà. Sarebbe opportuno porci una semplice domanda: l’urgenza di essere riconosciuti in quanto professionisti, si basa su un’effettiva competenza che merita di essere valorizzata?
Perché il vero “furbetto” spesso si nasconde dietro ad un titolo di studio (mi riferisco a molti studenti di scienze motorie in questo caso che amano dare degli “abusivi” a coloro che non possiedono il loro titolo, ma continuano a prescrivere diete o a fare diagnosi di competenza medica).
Dovremmo tutti pensare a lavorare meglio, a leggere di più e ad istruirci in maniera più approfondita.
Il resto arriverà, qualsiasi cosa si cerchi dal proprio cammino.
Vorrei infine concludere questo articolo rispondendo chiaramente a coloro laureati in Scienze Motorie che criticano le aziende private di formazione (senza conoscere neppure la differenza tra un professionista del movimento e un tecnico dello sport). Chi fa formazione non è responsabile del fatto che i datori di lavoro diano più importanza a chi presenta un titolo di studio privato rispetto a chi ha una pergamena appesa in camera (già questo dovrebbe comunque farci riflettere).