L’ossessione per i carboidrati sembra non volersi arrestare.
Come sempre quando si avvicina la prova bikini, quest’estate si sono scritti articoli su articoli su come i carboidrati facciano ingrassare e su quanto sia importante tener conto dell’indice glicemico di ciò che mangiamo.
Viene da pensare non si siano fatti passi in avanti in termini nutrizionistici e scientifici. Invece sono tante le novità e i progressi. Quando arrivano a gran voce consigli di esperti del settore riguardo al non abusare di alcuni alimenti, per via del loro indice glicemico, a me viene il dubbio che ammodernare la libreria di nuovi testi non sarebbe una cattiva idea.
Oltretutto, questa terminologia ormai così trita e ritrita raramente viene spiegata ai poveri lettori che non si occupano di questo e per fare bella figura con il loro bikini non possono che fidarsi. Cerchiamo quindi di fare un po’ di chiarezza su cosa sia l’indice glicemico e su quali altri fattori siano da tenere in conto.
La velocità delle pallottole, per continuare su questi termini, è appunto ciò che chiamiamo indice glicemico. Questo parametro misura la rapidità con cui viene innalzato il livello di insulina nel corpo, con effetti negativi (se il vostro obiettivo è perdere peso) sulla linea. L’insulina è infatti un ormone prodotto dal pancreas che modula l’ingresso dello zucchero nelle cellule del corpo. Una sua eccessiva stimolazione, o un suo malfunzionamento (come nel caso del diabete), ha effetti deleteri sulla produzione e sul consumo di adipe, nonché sulla salute. Tuttavia, per quanto le pallottole siano veloci, non può essere trascurabile il loro quantitativo. E questo è invece ciò che viene definito carico glicemico.
Facciamo un esempio. Quando sentiamo parlare delle carote quale alimento dall’indice glicemico relativamente alto, e quindi sconsigliato, non andrebbe dimenticato che, anche se dolci, non sono alimenti particolarmente zuccherini: su 100 g di prodotto contengono circa 10 g di carboidrati, mentre il restante 90% è acqua. Anche in caso la cottura ne avesse ulteriormente alzato l’indice glicemico, la mole di carboidrati assunta in una porzione è dunque irrisoria e non dev’essere ritenuta preoccupante.
Un piatto di carote bollite ha infatti un indice glicemico paragonabile a un piatto di spaghetti: tuttavia, è evidente solo a pensarci che il contenuto di carboidrati è assolutamente differente e che il carico glicemico è di dieci volte più basso.
Altro esempio è il melone: per quanto molti nutrizionisti lo sconsiglino poiché da tabelle ha un indice glicemico medio-alto, il suo carico glicemico è bassissimo, grazie a un rapporto di circa 8 g di carboidrati su 100 g di prodotto, con un 90-92% di quantitativo di acqua.
Ma la storia non finisce qui e come sempre ciò che influisce sul metabolismo sono una serie di fattori, che rendono l’argomento ben più complesso (e affascinante) di come si voglia sempre farlo sembrare.
Di recente, infatti, si sta studiando la possibilità che l’assunzione di proteine e grassi nello stesso pasto siano responsabili dell’innalzamento dell’insulina e che la quota di carboidrati assunta non sia l’unico parametro rilevante. L’indice insulinico è dunque un parametro che tiene conto della produzione di insulina in relazione a qualsiasi tipologia di alimento, sia esso principalmente glucidico, proteico o lipidico.
E tanti saluti alle diete composte solo di riso bianco, olio d’oliva e pollo alla piastra prima delle vacanze.