Come sollevare correttamente un carico? Su internet e nei gruppi social sul resistance training questo argomento accende sempre gli animi di allenatori e personal trainer. La scena tipica a cui si assiste è la seguente: una persona posta un video di un cliente o di se stesso. La community del gruppo inizia a fornire consigli e guide strategie sul perché tale carico sia sollevato in modo scorretto, senza sapere un fico secco della storia di quel cliente/atleta.
La cosa che fa più sorridere di tutto questo è che chi ha frequentato un corso di powerlifiting darà una risposta. Se si è frequentato un corso di un altro metodo se ne darà un’altra. Pochissimi rispondono nella maniera più sensata e cioé che senza avere informazioni sulla persona del video, non è possibile dare consigli tecnici, perché l’analisi si limiterebbe solo a quanto si sta vedendo (con ovvi errori di valutazione).
Da quelli che “il peso si alza con le gambe” a quelli del “sta perdendo la fisiologica curva lombare”, ci si ritrova a fornire consigli di un pressapochismo imbarazzante. Immaginiamo di postare un video di uno squat di un cliente. Ora aggiungiamoci il fatto che questo cliente potrebbe avere una ridotta mobilità tibio-tarsica (caviglia). Per questa persona eseguire un’accosciata profonda potrebbe essere un problema per il controllo podalico, delle ginocchia e ancora più in alto a livello delle anche. Il risultato sarà uno squat in apparenza penoso per i super-atleti del “so io come si fa”.
Cosa farà questa persona per sollevare il carico? Andrà a compensare per sollevare quel carico. Sicuramente per un occhio esperto non sarà uno squat da manuale, ma il migliore che in quel momento può fare quel cliente. Lo scopo del trainer sarebbe quello di non proporre schemi motori senza che si sia acquisita una base minima o una mobilità tale per cui quel gesto possa essere quantomeno abbozzato, ma la realtà è ben più complessa di come appare.
Una persona di 50 anni sedentaria che inizia un percorso chinesiologico potrà migliorare, ma alcune rigidità strutturali che si porta dietro da una vita, molto probabilmente non gli consentiranno di eseguire uno squat come quello di un ragazzo di 15-20 anni di età che quello schema l’ha provato e allenato al punto tale che il suo corpo è stato correttamente condizionato in fasce d’età sensibili. Per non parlare che una persona adulta si porta dietro un background di schemi motori e vizi posturali che si rifletteranno anche nei movimenti che vogliamo allenare. Se ci riflettiamo per un secondo è ovvio che aspettarci lo squat di un powerlifter è a dir poco fantasioso (con opportune eccezioni). Possiamo però aspettarci un buono squat, dopo diversi mesi di lavoro coordinativo e di condizionamento.
E non abbiamo ancora parlato di problematiche che da un video non si tiene conto. Per esempio alcuni interventi chirurgici, alcuni dei quali possono compromettere la mobilità della colonna vertebrale. Pensiamo alla laminectomia e all’inserimento di un distanziale. In questi casi non è detto che acquisire la tecnica stereotipata di uno squat sia cosa semplice, perché potrebbe rivelarsi un’impresa ben più ardua di quanto si possa pensare.
La bravura di un trainer è quella di tenere conto di tante variabili, piuttosto che far squattare a livello di un atleta di powerlifting il proprio cliente. Contestualizzare il singolo caso ci permette di non cadere vittime di errori valutativi molto gravi per chi dovrebbe fare della personalizzazione motoria la sua professione.
La risposta è si, se prendiamo da riferimento alcuni libri di testo. Peccato che l’ecletticità umana di lunghezze articolari, appoggi plantari e mobilità articolari, possono far mutare la nostra idea di cosa sia giusto o sbagliato secondo il manuale dello squat o dello stacco da terra. E questi sono solamente alcuni degli aspetti, peraltro quelli più “semplici”.
Di fatto esistono modi diversi di sollevare un medesimo carico. Il nostro dovere è insegnare al cliente il metodo più appropriato in base alle sue difficoltà di partenza, puntando ad un gesto motorio che possa essere “la soluzione più efficace, economica e sicura per la persona che abbiamo di fronte”.
Purtroppo nella realtà dei fatti la nostra professione è ben più complessa di così. Inizialmente andremo ad analizzare un gesto nella sua globalità per andare ad individuare l’anello debole del movimento che stiamo osservando. Questo obbliga tutti noi a svincolarci dal metodo che ci hanno venduto nell’ultimo corso di formazione che abbiamo frequentato nel fine settimana.
Dobbiamo immaginare che prima di sollevare un carico esterno, bisogna pensare che il cliente dovrà:
Sollevare pesi non può essere fatto con l’idea di mettere subito un cliente con un bilanciere sulle spalle. Bisogna investire del tempo affinché il cliente si renda conto di cosa fa con il suo corpo e sia consapevole di quali segmenti sono rigidi, per prepararlo ad avere più confidenza con gli aspetti da migliorare (maturando anche la capacità di auto-analisi motoria).
Solo in quel momento (e potrebbe richiedere mesi), si potrà pensare ad arrivare all’ultimo punto della lista, cioè “approcciare un peso esterno e sollevarlo”. Noi per primi abbiamo un carico da dover gestire, cioè il nostro peso e la distribuzione della nostra massa. Molti hanno difficoltà a gestire loro stessi, figuriamoci un attrezzo esterno (bilanciere o manubrio che sia).
Una premessa forse lunga, ma che era necessaria per arrivare al punto chiave dell’articolo, cioé “come sollevare correttamente un carico”. Dato per assodato che non esiste il metodo assoluto per sollevare un carico, possiamo immaginare che a seconda di dove si trovi il peso e come vogliamo approcciarlo, i metodi possono essere diversi.
Questo paragrafo non fornisce risposte, ma domande che possono rappresentare un promemoria per chi si è trovato in difficoltà nell’insegnare movimenti apparentemente banali.
Una volta che abbiamo una parte delle risposte dobbiamo capire come programmare un lavoro e un percorso che possa aiutare il cliente a migliorare, in base alle proprie possibilità.
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