Quando si parla di dieta e alimentazione, si interagisce con le abitudini e la psicologia della persona. Alimentazione e psicologia sono facce di una stessa medaglia. È sempre più frequente infatti la collaborazione tra nutrizionisti e psicologi, perché dietro le abitudini alimentari della persona si ha un contatto diretto con la percezione del sé, un concetto affrontato sempre più anche nel mondo biologico.
Oramai si parla di ambito bio-psico-sociale per intendere una relazione stretta tra la biologia, il nostro cervello e l’ambiente in cui viviamo e cresciamo. Nel mondo dello sport tale aspetto è ancora più evidente, dove le abitudini alimentari si rifanno anche a modelli di costituzione fisica ricercati dalla disciplina.
Ne sono un esempio la danza classica e gli sport tecnico-combinatori quali la ginnastica artistica e la ritmica, dove la fisicità gioca un ruolo chiave nella prestazione. In alcuni casi si innescano atteggiamenti emulativi per avvicinarsi a determinate corporeità che rispecchiano l’idea dell’atleta sano e forte, quando in realtà possono celare insidie quali i disturbi del comportamento alimentare, false aspettative e successive frustrazioni.
I campanelli di allarme di un comportamento che può mettere a repentaglio la salute non sono sempre semplici da individuare. La volontà di un atleta di cambiare fisicità per avvicinarsi ad uno stereotipo rischia di compromettere lo sviluppo psico-fisico e di avere conseguenze nel lungo periodo che possono trascinarsi per tutta la vita.
Ne è un esempio la RED-S o Relative Energy Deficiency in Sport, una condizione che vede un’alterazione fisiologica portata dalla carenza calorica. Questa e altre problematiche, come l’atteggiamento di selettività e/o evitamento del cibo. Tali problematiche vanno individuate soprattutto in quegli atleti giovani e in fase di crescita. La necessità di un allenatore, così come di un biologo nutrizionista sportivo, è di comunicare correttamente alcune informazioni, fornendo agli atleti degli ancoraggi positivi con il proprio corpo, soprattutto se si dovesse uscire dallo standard classico dello sport praticato, evitando così comportamenti che alimentano un’aspettativa irraggiungibile e lesiva per la salute (fisica e mentale). Vedere la prestazione come fine ultimo rischia di compromettere l’aspetto inclusivo che lo sport dovrebbe garantire, ancor prima della ricerca del podio o della medaglia. Sappiamo bene che nell’agonismo questa è pura fantasia, perché gli standard esistono, ci sono e vengono rincorsi (in alcuni casi addirittura promossi – cosa ancora più grave).
Il nostro ruolo è però discernere, contestualizzare e affiancare la persona in un percorso di crescita che sia il più sano possibile.
L’alimentazione permette di toccare con mano il rapporto che si ha con il cibo. Non è cosa rara assistere a persone che sono in condizioni sub-cliniche, cioè particolari condizioni non ancora patologiche in cui si alternano periodi di controllo quasi maniacale a momenti di completa assenza di controllo. In questi casi bisogna far in modo che si indaghi sulla causa scatenante. Se il problema è la mancanza calorica o la poca gratificazione a tavola, è necessario trovare una soluzione dietetica che pur uscendo da alcuni canoni, possa permettere una maggior sostenibilità del piano.
Quando questa mancanza di controllo avviene come “sfogo” da alcune frustrazioni personali, è bene individuare con l’ausilio di uno psicoterapeuta le cause e aumentare la comunicazione con il nostro assistito. Anche il continuo effetto yo-yo del peso può essere un campanello dell’impossibilità di mantenere una dieta a lungo, per le più svariate ragioni. Per molti la dieta diventa un motivo per controllare un aspetto della vita e fornire un po’ di sicurezza. In altri casi diventa motivo di espiazione delle colpe, lasciandosi andare a fenomeni di binge eating.
In caso di atleti giovani, la comunicazione con la famiglia e la loro partecipazione è cruciale. Quando sono gli stessi familiari ad alimentare aspettative nei figli che possono diventare lesive per la loro immagine corporea e chi sono, diventa importante far prendere coscienza che l’atleta deve capire cosa vuole lui in primis, più che cosa si aspettano gli altri. Alle volte alcune condizioni non risolte nei genitori, vengono trasmesse ai figli, per trovare un senso riscatto e affrancamento da delusioni passate che diventano però un pericolo per il corretto sviluppo psico-fisico.
Il ruolo di allenatore, preparatori, psicologi e nutrizionisti sportivi è aumentare l’informazione e comunicare sempre più con atleti e genitori affinché si salvaguardi la salute fisica e mentale dei giovani. Lo sport in questo contesto deve diventare una scuola di formazione, ma per esserlo ci deve essere la giusta presa di coscienza dagli stessi operatori.
Quando parliamo di alimentazione e psicologia ci si ricollega al concetto di schema corporeo. Nel 1988, Peter Slade definisce l’ immagine corporea come “l’immagine che abbiamo nella nostra mente della forma, dimensione, taglia del nostro corpo e i sentimenti che proviamo rispetto a queste caratteristiche e rispetto alle singole parti”. Ogni individuo ha una propria percezione di sè che deriva dall’insieme di esperienze vissute e costruite nel corso della vita.
Lo sport che pratichiamo, le aspettative che abbiamo e che gli altri ripongono in noi, possono modificare la nostra immagine corporea. Per tale ragione è fondamentale che gli operatori del settore, sportivo e non, possano nel tempo essere adeguatamente formati per individuare i campi di intervento, ognuno nel proprio ambito, e che agevolino un adeguato sviluppo psico-fisico dell’individuo.
Nel mondo dello sport, è bene che ci sia una corretta informazione e formazione tra:
Risulta una priorità parlare di queste tematiche, per aumentare l’aspetto pedagogico-educativo dello sport e il carattere inclusivo necessario affinché la popolazione possa ritrovare nell’esercizio fisico un mezzo per mantenersi in salute, fisica e mentale.
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