Prima di concludere questa imperdibile testimonianza di una che è riuscita nel miracolo di superare il primo mese di palestra –e verso l’infinito e oltre– vorrei dare una mappa dei personaggi che si muovono al suo interno. Me inclusa, ovviamente.
Come tutti gli ambienti, anche la palestra è abitata da precise figure che ricreano un ecosistema molto meno stabile di quanto ci si possa aspettare. Non credevo infatti, che al suo interno potessero avvenire cose particolarmente bizzarre. Se volete godervi per davvero le possibili evoluzioni di un’atmosfera “palestriana”, dovete però reggere e presentarvi con frequenza per più di due mesi. Superata questa soglia, cominceranno a manifestarsi dinamiche divertenti oppure inquietanti.
Sono tanti e popolano le sale con naturalezza: certi giorni li vedi tirar fuori attrezzi che sembrano rubati da un circo; altre volte compaiono al tuo fianco a sudare sul tapis roulan, facendoti capire con certezza che ancora non sai neppure correre in maniera adeguata.
Quando però sono all’opera, ovvero stanno torturando allenando qualche cliente, si può capire che tipo di professionista sono. Per non screditare nessuno, diciamo che esistono diversi gradi di “”””coinvolgimento”””” del trainer rispetto al lavoro da impostare –tutte quelle virgolette vogliono sostituire un più onesto termine, che è cura-.
Alcuni di loro, in effetti, piazzano il mal capitato su un macchinario cardio a caso e poi vagano –si allenano da qualche parte per una decina di minuti, per ricomparire con in mano il cellulare-. Ovvio, l’esercizio lo svolge il cliente, ma a volte, sentirsi gli occhi puntati di un professionista addosso, fa la differenza. Se non altro perché, se si è come me, si bara miseramente su tempi e ripetizioni. Per altri meno malvagi, sarebbe comunque importante esser sicuri di eseguire correttamente i movimenti.
Ecco, questo è il tipo di figura che piace a me. Sono quelli che non ti mollano neppure un secondo, che ti fanno il favore di tenere a mente il numero di ripetizioni per te mentre stai affogando. Quei trainer che non si muovono neppure quando ci sono i prodigiosi 30 secondi di pausa tra una fatica e l’altra. Sono gli stessi che ti spiegano cento volte le cose e poi te le scrivono per email. Che studiano delle schede che progrediscono insieme a te nel tempo.
Io ho avuto la fortuna di lavorare con un professionista di questo tipo.
Le cose più simpatiche – così come quelle che ti fanno dubitare ancora una volta sull’evoluzione della specie– arrivano però dagli utenti della palestra. In particolare mi riferisco alle ragazze che sono lì per tirare le cuoia, e a quelle che invece, perché hanno scambiato l’ingresso con quello della discoteca.
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Mi viene l’ansia a vedere esalare l’ultimo respiro di queste donne con la coscia grande quanto il mio polso. Ce ne sono almeno tre fisse, che si uccidono una caloria dopo l’altra, in 60 minuti di camminata veloce con pendenza livello 14. Si muovono, ma in realtà posso leggere nelle loro facce il terrore del chicco d’uva che hanno ingerito nelle ultime 48 ore. Dopo un po’ che me le ritrovo di fronte, ho l’impulso di chiamare il 118. Oppure di non mangiare mai più nella vita.
Mi sale l’angoscia anche a stare in mezzo al gruppo delle influencer –mancate Giulia Valentina– che si aggirano nei loro completini coordinati, sotto strati di blush e mascara. Apparentemente non sudano. Soprattutto, non hanno chiaramente bisogno di esser là dentro, perché la natura le ha generate già perfettamente toniche e proporzionate. Sono là dentro perché, sfilare per la Milano Fashon Week è più complesso del neutralizzare tutti gli esseri femminili sfigati che frequentano le palestre. Sono là dentro, perché saranno per sempre più attraenti di te, vestite solo di un reggiseno e dei leggins che non fanno vedere lo zoccolo di cammello pur restando impeccabilmente aderenti.
Fanno un po’ impressione, anche perché la loro testa è sicuramente rimasta imprigionata negli anni ’50 e questo, può creare dei problemi tipo: considerare la donna come un essere sottomesso. Da uno di questi personaggi sono nati due degli aneddoti più spassosi nella mia palestra: una rissa piuttosto accesa con una ragazza, e un’invasione di campo durante un corso. La prima volta, il vecchio in questione voleva avere la supremazia assoluta dei pesi, che quindi non ha voluto cedere ad una donna. In quanto donna – un difetto imperdonabile evidentemente. La seconda invece, ha visto il vecchio in questione interrompere un intero corso, mettendosi alle spalle dell’istruttrice, per comunicarle –a bassa voce nell’orecchio – che le aveva portato le brioche.
Che riescono a ritagliare spesso qualche porzione di tempo per farsi una sana sudata: noi siamo gli eroi del ventunesimo secolo. Perché sappiamo che facciamo schifo e proviamo a porvi rimedio, trascinando le nostre sacche sportive dall’ufficio all’armadietto. E non molliamo, nonostante il richiamo ancestrale del divano la sera, o la consapevolezza che la pausa pranzo potrebbe esser trascorsa a mangiare e sonnecchiare, invece che sotto 10 chili di carico.