Spesso, quando clicchiamo sui link che elencano le proprietà miracolose degli alimenti, il motto che troviamo abbinato ad esse, è una citazione di Ippocrate:
Una frase ad effetto, persuasiva, che dissemina una serie di messaggi subliminali non molto realistici.
È vero che l’alimentazione è uno dei principali fattori su cui lavorare per prevenire eventuali patologie: da quelle croniche a quelle degenerative, che possono essere scatenate da una nutrizione poco attenta, oltre che da fattori ambientali e genetici.
È vero anche però, che la nutrizione non può curare direttamente patologie già conclamate, come invece vorrebbe un’errata interpretazione del principio di Ippocrate.
Certo, esistono dei casi in cui, malati oncologici, modificando la propria dieta, abbiano rallentato l’avanzare della malattia: questo è un effetto diretto del fatto che, se si assume meno, anche le cellule hanno meno energia per moltiplicarsi e, in questo caso, diffondere le metastasi. Attenzione però a credere che questo sia una terapia vera e propria: si tratta solo di un accorgimento da abbinare ai farmaci e all’intervento di specialisti.
In altre parole: alternare gli alimenti stagionali, preferire frutta e verdura agli alimenti di origine animale, alternare alimenti crudi e cotti e alternare alimenti dai colori più diversi (i colori identificano alcune funzioni date da alcuni composti chimici nei cibi), ci mantiene in buona salute, più a lungo.
È impensabile invece aspettarsi di curare un tumore con le bacche di Goji o una passata di pomodori.
In questo caso si tratta di vera e propria disinformazione: il messaggio che arriva all’utente poco avveduto è che i farmaci non servono, perché il rimedio esiste già in natura. In realtà, il farmaco è tanto utile per curare una patologia specifica quanto lo è una corretta alimentazione nel prevenire le patologie o innescarle. In tal senso il cibo è visto come una medicina: anzi la medicina.
Se si intende la cura come prevenzione.
Prendiamo come esempio l’acido acetilsalicilico, ovvero la banale aspirina. Questa sostanza di sintesi è in verità presente in natura: il suo nome deriva dal salice. Le sue foglie erano probabilmente impiegate in passato per alleviare alcuni sintomi influenzali. È chiaro in questo caso, come le aziende farmaceutiche abbiano sintetizzato la corretta dose della sostanza, necessaria per renderla un anti-infiammatorio più efficace.
Chi si pone a priori contro la ricerca scientifica, sostiene che ci si potrebbe limitare al consumo delle foglie o della corteccia del salice, piuttosto che servirsi del farmaco in commercio.
Potrebbe essere persino fattibile, salvo non considerare le implicazioni di tipo batteriologico: è molto più probabile contrarre dei virus e batteri ingerendo il prodotto naturale, che quello trattato. Oltre che il suo effetto sarà minore anche dal punto di vista biologico.
Ognuno sceglie in cosa credere. Si può decidere di abbracciare la filosofia che vede nella pasta alla genovese la soluzione ad una malattia degenerativa. Oppure ci si può affidare totalmente ai progressi ottenuti in campo scientifico, dopo un lavoro di ricerca che affonda le sue radici nei secoli.
Messa in questi termini, si può esser favorevoli al ritorno nelle caverne, all’idolatria delle forze naturali come divinità.
Si può, ripeto. Nulla di male in questo.
Dipende solo da che tipo di vita si vuole condurre.