Si inizi subito con una verità scomoda, per capire che il tono qui, è sempre quello della trasparenza ad ogni costo. La prima volta in palestra è definibile solo con una parola: dolore. Non so se, chi è rimasto fermo per poco tempo, abbia vissuto la stessa esperienza da risveglio post-ibernazione centenaria che ha sperimentato il mio corpo.
Per chi come la sottoscritta, ha passato gli ultimi dieci anni a considerare il tragitto casa-supermercato come un’attività fisica…ecco la dura realtà: l’acido lattico piomberà su di voi con la stessa violenza di un documentario in bianco e nero, tedesco, senza sottotitoli. In linea di massima, non riuscirete a sentire più niente che vada oltre alla pena che vi scorre al posto del sangue.
La mia prima settimana di palestra poi, ho voluto fare il solito botto. Meglio conosciuto come il delirio d’onnipotenza da “da oggi tutti i giorni, tutte le ore, sarò qui a forgiare il mio corpo. Finché non esco bella e solida come l’anello di Tolkien appena sfornato dal Monte Fato”.
Per cui, mi sono lanciata nei corsi durante la pausa pranzo, ogni giorno uno diverso. Ogni volta una nuova avventura. Protetta dal mio completino nuovo fiammante con tanto di scarpe coordinate alla maglietta, mi sentivo invincibile. Tutto sommato, piena dell’illusione che, vestirsi da decathlon, mi proteggesse da ogni male.
Quindi sono entrata alla mia prima volta in assoluto di cross functional. Animata da quella bella speranza di chi, tutto sommato, ancora ci crede.
Come quelle donne che si mettono assieme ad un cornificatore seriale e, almeno il primo mese dicono alle amiche: ma con me sarà diverso.
Mi sono presentata all’istruttore, rassicurandolo sul fatto che ogni tanto mi capitava di fare cyclette e che avevo comprato dei pesi da 2 kg che usavo a casa qualche volta.
Lui infatti, ha sorriso come chi parla ad un tossico che dice di aver smesso di farsi da appena un giorno. Poi mi ha subito avvertita che sarebbe stato parecchio faticoso. Infine, ha aggiunto –pessima mossa– che, quando avessi raggiunto il mio limite, mi sarei dovuta fermare. Pessima mossa, perché non si dovrebbe mai far leva sulla testardaggine di un neofita.
Infatti io, brava pirla, ho subito reagito con un: ma questo qui per chi mi ha preso? Io non sudo, io non fatico, io alle elementari ho fatto 5 anni di ginnastica artistica e avevo gli addominali da pallavolista sino alla terza media. Sarà la prima volta, ma mica per davvero.
La prima volta è stata infernale: non avevo fiato, non avevo forza, non avevo coordinazione. Avevo solo il mio stesso sudore che usciva fuori da qualsiasi buco, copioso, insieme alla mia vergogna. Cross functional è una roba bestiale, per cui, nella prima parte, ti concentri a fare quello che tutti chiamano “warm up” (che, per le persone tricolore, si chiama ancora riscaldamento).
Solo che sta prima fase è la stessa in cui dici: ok, non ce la posso fare. E, se non ce la puoi fare nei primi dieci minuti, figuriamoci quando realizzi che ti mancano ancora tre quarti d’ora di lezione. Parti con una serie di squat (cioè ti alzi e ti abbassi su te stessa con o senza pesi, finché poi ti dimentichi di avere delle cosce e delle ginocchia).
Poi procedi magari con un po’ di burpee (che non è un rutto. È una roba meravigliosa che prevede ben 4 movimenti, di cui lo squat è solo uno. Per il resto del tempo, tocchi terra e salti). Il menu continua con addominali a raffica e, perché no, degli affondi fatti con un carico sulle spalle. Ovvero una sbarra che nutri di dischi da minimo 2 chili e che ti piazzi sulle spalle. Ma non è finita qui, perché, come privarsi di un po’ di altro calore? Stare immobili in posizione di plank per 60 secondi, fa sicuramente al caso nostro.
Il plank è una posizione in cui, teoricamente, stai solido con tutto il corpo e ti reggi con chiappe e addominali strizzatissimi sulle tue braccia. La versione per gente scarsa, permette l’appoggio delle ginocchia a terra. Se invece vuoi fare la spaccona come me, provi a stare sulla punta dei piedi. Finché poi l’istruttore non ti preme sulle anche e ti dice: devi stare bassa col bacino. E lì, in quel momento, anche il briciolo di speranza che ti era rimasto, crolla e il tuo corpo con essa.
Poi arriva la seconda fase, che è quella in cui tipo Fantozzi, inizi ad avere delle visioni mistiche. Tutte quelle belle cosine che hai già avuto modo di apprezzare durante il warm up, ora si ripetono all’infinito, velocemente, fino a quando l’orologio non segna la fine della lezione. Circa 20 minuti di lavoro, quando sei fortunato, in cui le ripetizioni ogni tot si intensificano.
Se 20 minuti vi sembrano una sciocchezza, avete tutta la mia simpatia. Perché significa che ancora non vi siete mai confrontati con questa magica esperienza. Se invece lo sapete, allora state facendo solo gli splendidi perché nessuno e, sottolineo, nessuno, neppure il super atleta ossessionato, può uscire indenne da una cosa del genere.
Risultato? Sono tornata senza braccia, senza addome, senza cosce e senza una miriade di microscopici muscoli e nervi che non so neppure come si chiamino e di cui ignoravo l’esistenza. In pratica, mi sono trasformata nella mia personale mappa anatomica, segnata esclusivamente da punti doloranti.