Il Global Burden of Disease Study. Uno studio epidemiologico osservazionale che osserva in termini di salute quali sono i fattori di rischio e come sono cambiati dal XX al XXI secolo. I dati che include sono mortalità e comorbilità in 204 paesi, prendendo in considerazione 84 fattori di rischio e diverse patologie.
In questo studio è stata introdotta anche una nuova metrica, definita DALY, acronimo di disability-adjusted life-year, che quantifica il rischio di patologie e incidenti che portano alla morte prematura o a ridurre gli anni di piena salute compromettendo la qualità della vita.
Nel 2004, secondo i dati raccolti e pubblicati in infografiche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sono morte 59 milioni di persone e tra le prime 5 cause di morte troviamo:
Non c’è da rimanere sorpresi del fatto che tutte le prime cinque cause di morte possano probabilmente essere ritardate o prevenute dalla regolare attività fisica settimanale, fino ad una corretta educazione alimentare e correggendo alcuni stili di vita, quali l’abitudine al consumo di alcol e al fumo di sigaretta.
Dall’altra parte è pur vero che patologie quali l’ipertensione arteriosa e l’iperglicemia tendono a manifestarsi man mano che l’età tende ad alzarsi e questo per ragioni legate all’invecchiamento. Nei paesi occidentali però, queste manifestazioni tendono ad essere premature, proprio per una tendenza crescente alla sedentarietà e all’aumento di peso, connessi inevitabilmente alla sindrome metabolica.
Tra i primi 5 DALY, citati nel report del 2004, troviamo:
Solamente nel 2004, circa 1,5 miliardi di persone sono andate incontro a problemi di salute o morte prematura a causa di situazioni evitabili.
Arriviamo ai nostri giorni e analizziamo cos’è successo nel 2019.
L’analisi dei dati porta, in entrambi i sessi, in un’età compresa tra i 15 e i 49 anni ad osservare che:
I dati non finiscono qui. Abbiamo che le morti per infarto e ictus costituiscono il 13,39% di tutte le cause di morte. In particolare:
Nella stessa fascia di età se analizzassimo le differenze di infarto e ictus tra uomini e donne risulta che le donne hanno una probabilità di morire di ictus debolmente più elevata rispetto agli uomini (5,04% rispetto al 4,94%). Nelle donne risulta più bassa la probabilità di morire di infarto, per ragioni anche genotipiche e per il ruolo cardioprotettivo degli estrogeni in età fertile (6,31% rispetto al 9,63% degli uomini).
La questione diventa molto più problematica se prendiamo in considerazione tutte le fasce di età, comprese quelle più avanzate.
In questo caso la morte per infarto sale al 16,17% e di ictus al 11,59%.
Solo queste due cause di morte costituiscono il 27,76% di tutte le cause di morte.
In fin dei conti, tanti numeri da analizzare e qui ho citato solo gli aspetti più di comune utilità per noi che viviamo in un paese occidentale. Ma cosa ce ne facciamo di questi numeri? In primis, il ruolo fondamentale e preventivo che hanno tutti gli esperti di esercizio fisico e i professionisti del mondo dell’alimentazione. Per quanto si ricorra troppo spesso alla medicina per curare un danno che si è già creato, dovremmo iniziare a maturare un po’ di senso civico nel prevenire, dove e quando possibile, l’insorgenza prematura di determinate patologie tramite i mezzi che abbiamo a nostra disposizione, anche semplicemente per il fatto che la sanità non è gratuita e grava sulle tasse di ciascun cittadino.
Un cittadino che si ammala prematuramente concorrerà ad abbassare la sua qualità di vita e ad incidere più o meno pesantemente sul sistema sanitario nazionale. Per tale ragione, il ruolo di nutrizionisti e personal trainer dovrebbe essere cruciale nel presente e nel prossimo futuro, grazie anche ad una corretta informazione.